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Il mito di Kore e Persefone

Novembre 28, 2019 by Marta Ricerca Commenti disabilitati su Il mito di Kore e Persefone

Archetipi di un viaggio del Femminile

Racconto vivente

Io comincio a cantare Demetra dalle belle chiome, Dea Veneranda e con lei la figlia dalle belle caviglie che Ade rapì; e Zeus dal tuono profondo che vede lontano, lo concedeva.

Lei giocava con le fanciulle dal florido seno, figlie di Oceano, lontano da Demetra dalla spada d’oro e dalle splendide messi, e coglieva fiori – croco, viole, giacinto e il narciso che era un’insidia piantata per la fanciulla dal volto roseo da Terra/Gaia, per volere di Zeus, compiacendo Ade, il Dio che molti uomini accoglie; mirabile fiore raggiante spettacolo prodigioso per chiunque lo vedesse, sia Dio immortale che uomo mortale; dalla sua radice erano sbocciati cento fiori e tutto l’ampio cielo in alto e tutta la terra e i salsi flutti del mare sorridevano alla gioia del suo effluvio.
La giovane attonita, protese le due mani insieme per cogliere il bel giocattolo – ma improvvisamente si aprì la terra lungo la pianura e ne sorse il Dio che molti uomini accoglie, il figlio di Crono che ha molti nomi, con i cavalli immortali.
Afferrò la dea, riluttante, in lacrime, e la trascino via carro d’oro.
Lei gettava alte grida, invocando il padre Zeus, eccelso e possente, ma nessuno degli immortali o degli uomini mortali udì la sua voce e nemmeno gli olivi dagli splendidi frutti, solo la candida figlia di Perse, Ecate dal velo luminoso, che dal suo antro udì e così fece il divino Elio, splendido figlio di Iperione, mentre la fanciulla invocava il padre Zeus, ma questi, in disparte, lontano dagli dei, sedeva nel tempio dalle molte preghiere, ricevendo offerte dagli uomini immortali.

Intanto colui che è signore di molti e molti uomini accoglie, il fratello del padre, il figlio di Crono che ha molti nomi, portava con sé la dea riluttante con il volere di Zeus, con i cavalli immortali. Fin quando la dea scorgeva la terra e il cielo stellato, il mare per scorso dalle vaste correnti e i raggi del sole e ancora si attendeva di rivedere la cara madre e la stirpe degli Dei che vivono in eterno, sebbene fosse angosciata, la speranza le confortava il nobile cuore.

Demetra cercò Kore per nove giorni e nove notti, senza mangiare né bere e invocando disperatamente il suo nome.
Il decimo giorno giunse a Eleusi dove le venne raccontata la visione di un carro misterioso trainato da cavalli neri che era comparso e poi scomparso in una voragine e il cui invisibile guidatore teneva saldamente avvinta una fanciulla urlante.

Nelle Metamorfosi Ovidio ci racconta anche che Demetra rimane letteralmente attonita quando la fonte le descrive come ha visto la figlia. “Triste sì, e con ancora la paura sul viso, ma regina e signora del mondo oscuro, ma sposa potente del re degli Inferi.” Sentendo queste parole, la madre restò di sasso, come colpita dal fulmine.
Avuta la prova dell’ignobile rapimento con la probabile complicità di Zeus, Demetra, piuttosto che salire all’Olimpo per incontrare il padre degli dei, si mise a vagare furibonda sulla terra, impedendo alla natura di rifiorire e produrre frutti, tanto che l’umanità stessa minacciava di perire.
Zeus non osava recarsi da Demetra ad Eleusi, ma le inviò messaggi e doni prontamente rifiutati dalla dea che, anzi, giurò che la terra sarebbe rimasta sterile finché non le fosse restituita l’adorata figlia.

Zeus, allora, invia Hermes per chiedere a Ade di lasciar tornare la fanciulla da sua madre.: “Se non restituisci Kore, andremo tutti in rovina”.
Un altro messaggio inviò a Demetra: “Avrai tua figlia Persefone, purché non abbia assaggiato il cibo dei morti”.

“Ade, il signore dei morti, sorrise con le sopracciglia, e obbedì agli ordini di Zeus sovrano. Senza indugio esortò la saggia Persefone: “Persefone, torna da tua madre, la dea vestita di scuro, ma conserva nel petto un cuore e un animo sereni, e non prendertela troppo, oltre ogni misura. Non sarò per te un marito indegno fra gli immortali, io che sono fratello di Zeus. Qui tu regnerai su tutti coloro che vivono e camminano, e avrai onori grandissimi fra gli immortali; ci saranno castighi infiniti per chi ti offenderà, per quelli che non placheranno con sacrifici il tuo nume, officiando pii riti e offrendo i doni dovuti.”
Così disse; si rallegrò la saggia Persefone, e balzò in piedi piena di gioia. Ma egli di nascosto le diede da mangiare un dolce chicco di melograno, guardandosi attorno, perché non rimanesse per sempre lassù, con la veneranda Demetra vestita di scuro. Davanti al carro d’oro Adoneo dai molti sudditi andò a bardare i cavalli immortali.”

Ecco. È fatta. Kore non è più la fanciulla simbioticamente legata a sua madre. Ha mangiato il chicco di melograno datole da Ade: Kore è fecondata. Kore adesso è Persefone, regina del mondo infero, luce lunare della volta celeste. Tornata sulla terra, la fanciulla, ormai donna, racconta alla madre di aver mangiato del cibo e si schermisce dicendole di essere stata costretta dallo sposo:

“Quando il messaggero Aghifonte venne da me da parte del padre Cronide e degli altri celesti a dirmi di uscire dall’erebo, perché rivedendomi con gli occhi tu deponessi la rabbia e l’ira terribile contro gli immortali, io balzai in piedi piena di gioia, ma Ade di nascosto mi porse un chicco di melograno, dolce boccone, e con la forza mi costrinse a mangiarlo, pur contro voglia.”

La dea delle messi sa cosa significa per sua figlia aver mangiato qualcosa nel regno degli Inferi: nell’Inno a Demetra lei stessa spiega a Persefone che dovrà vivere un terzo delle stagioni con lo sposo e due terzi sull’Olimpo con gli altri dei. Demetra riconosce così come normale che la figlia, la sua Kore, sia ormai una donna e che, essendo sposata, passi una parte del tempo con lo sposo e una parte del tempo con la madre.
Nelle metamorfosi di Ovidio, è Zeus, con i buoni uffici di Rea (madre sua e pure di Demetra nonché di Ade), a creare un compromesso: Persefone avrebbe trascorso ogni anno tre mesi in compagnia di Ade, come regina del Tartaro, e gli altri nove mesi con sua madre. Così Demetra risalì all’Olimpo non prima di aver ricompensato chi l’aveva aiutata nella ricerca (il padre dell’agricoltura: Trittolemo).

(Inno a Demetra, in Inni omerici, a cura di Giuseppe Zanetto, Milano, RCS, 2000.

Ovidio, Le Metamorfosi, Milano, Mondadori, 2007.

www.percorsidipensiero.it)

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